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Periodicamente il botteghino propone un film come The Boy per dare un brivido ai fine settimana del pubblico generalista e il film di William Brent Bell – nelle sale italiane dal 12 maggio – assolve egregiamente al compito di passatempo senza pretese e riesce persino a regalare qualche momento di tensione.
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La storia è semplice quanto grottesca: Greta (Lauren Cohan), una giovane americana che atterra nel Regno Unito per sfuggire a un passato burrascoso, finisce a lavorare per una ricca e anziana coppia, gli Heelshire. Il compito della ragazza è prendersi cura del “figlio” della coppia, Brahms, una bambola di porcellana.
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Cosa si nasconde dietro questa assurda mansione e come reagirà la ragazza alla convivenza con la bambola?
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Chi ha dimestichezza con l’horror troverà in The Boy diversi elementi tanto utilizzati da essere diventati, nel tempo, dei cliché del genere: le atmosfere buie, le soggettive impersonali che suggeriscono la presenza occulta di una creatura minacciosa, l’insistenza su dettagli quasi sempre irrilevanti, l’espediente del sogno per costruire una scena – l’unica – in grado di far saltare lo spettatore sulla sedia, seguita dal classico risveglio improvviso della protagonista terrorizzata.
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I personaggi sono poco credibili nel loro ricalcare sagome viste e riviste, orfani di una reale indagine psicologica: la protagonista, per esempio, di bella presenza, strafottente prima, folle e temeraria poi, passa da un atteggiamento all’altro con una velocità ingiustificata. I personaggi secondari, Malcom (Rupert Evans) e Cole (Ben Robson) sono anche loro piatti e già visti, mero supporto narrativo al protagonismo di Greta. Gli unici che destano un minimo di interesse sono i due Heelshire (Diana Hardcastle e Jim Norton – già visto in Harry Potter e la Camera dei Segreti e in American History X), con la loro aria surreale e colpevole.
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Nel complesso, proprio per la riconoscibilità di personaggi, temi e espedienti, The Boy fatica a elevarsi al di sopra della mediocrità. Il ritmo, serrato in un primo momento, si perde a partire dalla seconda metà del film, proprio quando, invece, sarebbe stato necessario avvertirne una crescita. La storia parte già con delle premesse piuttosto banali – la casa isolata nella campagna inglese, la protagonista che non può tornare sui suoi passi – e precipita verso un finale poco coraggioso e originale, che anticipa un sequel di cui non sentiamo il bisogno.
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Brahms è un “cattivo” scialbo rispetto ai suoi illustri colleghi e predecessori, forse anche per il poco tempo che il regista gli dedica realmente. Anche in questo caso, quello che si intuisce del personaggio non è altro che un pallido collage di tanti elementi della storia dell’horror.
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Purtroppo nel cinema il manierismo paga fino a un certo punto e mette in campo prodotti funzionanti (nei casi più felici), ma non capolavori: The Boy va guardato senza pretese, ritagliandosi un’ora e mezza di puro svago, oppure è meglio non guardarlo affatto.
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