BARI – “Più della metà dei suoi affari sarebbero transitati nella nuova agenzia” Tecnocasa che avrebbe gestito Giuseppe Sciannimanico e, di questo, Roberto Perilli si era lamentato con “persone appartenenti al mondo delinquenziale” conosciute nel centro scommesse accanto alla sua agenzia. A scriverlo nella sua perizia psichiatrica è il consulente del gip del Tribunale di Bari, Roberto Catanesi: il professore riporta quanto lo stesso Perilli gli ha riferito durante i colloqui avuti in carcere. Per la prima volta da quando è detenuto, Roberto Perilli parla dell’omicidio del suo ex collega, l’agente immobiliare Giuseppe Sciannimanico, ucciso a Japigia il 26 ottobre del 2015.
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Del delitto Perilli è accusato dalla polizia e dal pm Francesco Bretone di essere il mandante, mentre l’esecutore materiale – stando all’ipotesi della magistratura – sarebbe il pregiudicato Luigi Di Gioia. La difesa di Perilli aveva chiesto di svolgere una perizia psichiatrica nell’ambito di un incidente probatorio: secondo il consulente, il presunto mandante è capace di intendere e di volere. Non solo, è stata riscontrata dal professore una “personalità narcisistica”. Durante i colloqui in carcere, Perilli ha rigettato ogni accusa. “Di certo non sono stato io – è riportato nella perizia a firma di Catanesi – poi non so se qualcuno ha preso decisioni sentendomi magari parlare… o magari la vittima è stata spocchiosa, l’ambiente è quello… non sono tutti come me che sapevo come trattarli”, dice Perilli riferendosi, evidentemente, ai rapporti con alcuni pregiudicati del quartiere Japigia, dove è stato ucciso Sciannimanico e dove Perilli aveva un’agenzia immobiliare. Secondo la Procura, Perilli avrebbe commissionato l’omicidio perché preoccupato del fatto che Sciannimanico, con l’agenzia Tecnocasa che avrebbe aperto a breve, potesse sottrargli numerosi affari. Ed in effetti Perilli ammette davanti al professore Catanesi che “più della metà dei suoi affari sarebbero transitati nella nuova agenzia”, tanto che di questo si era lamentato con “persone appartenenti al mondo delinquenziale” conosciute nel centro scommesse accanto alla sua agenzia e che Perilli frequentava.
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L’indagato descrive il rione Japigia come un quartiere “popolare e delinquenziale che mi esasperava”, rivelando di aver avuto anche difficoltà economiche “a pagare il pizzo che, come tutti, ero costretto a versare”. Ammette anche “di aver dato a volte le chiavi di qualche suo appartamento ad alcune di queste persone, in cambio di aver ricevuto servizi di protezione”. Catanesi nella perizia sottolinea la “personalità narcisistica” del presunto mandante dell’assassinio ed è lo stesso Perilli a definirsi “invincibile, un vincente”, ma “solitario e scortese”, un “ragazzo invidiato, dal nulla mi sono costruito una posizione, ho girato il mondo, ho avuto un sacco di ragazze, e anche tanti soldi”. Ma pochi amici, “solo compagnie”, intese “come strumento per raggiungere un obiettivo, dunque mezzo di utilità sociale”.