C’era una volta,
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un’operosa e soleggiata città di mare, che fedele alle abitudini dei mercanti levantini che ne hanno via via determinato i costumi e scritto le leggende, al calar della notte, spegneva tutte le sue luci assieme a quelle delle botteghe.
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E così, per un bel pò di anni, tra la fine degli anni 80 e gli anni 90, adolescenti e teenagers (quelli del tempo dei gettoni e delle cabine telefoniche), nell’ora in cui la città diveniva scura ed anche per questo molto poco sicura, usavano radunarsi fuori le saracinesche chiuse delle botteghe. “Ci vediamo da Mincuzzi, da Rossetti o al Bar Esperia”… fino al weekend!
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Essi, perché dopo una settimana senza luci e senza rumori, l’adolescenziale e primitivo desiderio di “far baldoria” era irrefrenabile. Quasi necessario. E si andava a ballare. Tutti. Cellar Club, Neo, Strawinsky, Kabuki, Camelot, e un po’ più in là Snoopy, Pan, Ecstasy, Renoir, …
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Non saprei dire perché quell’epoca sia finita. So, perché c’ero, che la giurassica “baricheballa”d’un tratto si è estinta, lasciando spazio ad abitudini e costumi certamente più anglosassoni e mitteleuropei. Probabilmente importati dalla vicina Grecia, invasa ogni estate dagli adolescenti e teenagers del tempo dei gettoni e già strutturata ad accogliere i “vichinghi” con le loro abitudini.
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Sta di fatto che, d’un tratto, con gli smartphone sono comparse più piccole realtà(non per questo meno luccicanti e rumorose)… Sono comparsi, a decine, i pubs. Niente biglietto d’ingresso, niente (pubblico) spettacolo. Più moderato (e piccolo) intrattenimento. La musica, in tutte le sue forme ha trovato di sicuro molto piùspazio,ma Bari non balla più. Anche perché, nei pubs, è severamente vietato ballare.
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di Ezio Costantino
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