Con l’assemblea costituente di Sinistra Italiana tenutasi a Roma qualche giorno fa, alla quale ho partecipato di persona, si è dunque inaugurato l’ennesimo tentativo di costruire a sinistra una forza in grado di indicare una via d’uscita per quel popolo di smarriti nella crisi che da piú di trentanni esprimono il bisogno di un cambiamento nella societá.
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Certo, come ci insegna il buon vecchio Marx, se alla veritá non appartiene solo il risultato ma anche la via, se la ricerca della veritá deve essere essa stessa vera, un’assemblea costituente impostata su tavoli tematici, sul prevalere delle forme della comunicazione e sull’esaltazione dell’innovazione e delle piattaforme digitali per la partecipazione, non poteva che produrre come risultato una babele confusa dove i diversi brandelli della sinistra mostrano grandi difficoltá a dipanare la matassa nella quale sono imbrigliati.
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D’altronde, per poter sperare di riuscire a porre rimedio a queste difficoltá, la sinistra deve imparare innanzitutto a confrontarsi con ció che la crisi è, perché la comprensione della natura della crisi richiede qualcosa di più della sua esperienza immediata.
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Di fronte a questa sollecitazione, molti soggetti della sinistra sembrano invece reagire con fastidio, considerandola spesso un esercizio intellettuale inutile e controproducente. “Le persone vogliono le risposte”, “bisogna agire”, viene da piú parti invocato. In tanti continuano a pensare che problemi come la disoccupazione, l’iniqua distribuzione del reddito, la povertá, i diritti negati, siano la crisi e quindi le difficoltá starebbero solo a valle. Essi rifiutano l’esistenza di un problema sui problemi che chiamerebbe in causa le relazioni sociali con le quali l’intero organismo sociale si riproduce.
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Con questa premessa necessaria, vorrei dunque provare ad illustrare alcune mie brevi riflessioni sull’iniziativa, cercando di far emergere quell’insieme di “paradigmi” o “visioni” che costituiscono, a mio avviso, i percorsi prevalenti con i quali questa babele della sinistra tende ad affrontare la crisi.
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La sinistra neo-liberalista
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Questo paradigma è quello che considero decisamente piú subalterno al neo-liberismo ed assume due grandi declinazioni, quella della giustizia di mercato e quella della giustizia dirittista.
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Coloro che si fanno portatori di questa cultura, avendo una visione unilaterale della forma dei diritti, riconoscono in essa soltanto un potenza emancipatrice, senza tener conto anche dei limiti strutturali che impediscono la soddisfazione dei bisogni della societá attraverso quella forma di relazione. La forma dei diritti diventa dunque una variabile indipendente ed il lubrificante essenziale per la competizione cosiddetta meritocratica del mercato.
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La sinistra neo-statalista
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In questo paradigma identifico coloro che addebitano la causa dei nostri guai all’abbandono o ad un’attuazione bastarda delle politiche dello Stato Sociale. La mancata realizzazione dello Stato Sociale avrebbe dunque favorito l’instaurarsi, negli ultimi trentanni, del neoliberismo il quale, a sua volta, starebbe arbitrariamente causando l’impoverimento delle classi subalterne.
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La soluzione starebbe in un serio recupero delle politiche espansive dello Stato Sociale, con maggiori investimenti pubblici e con una piú ampia soddifazione dei diritti sociali. (Anche in questo caso esiste una visione unilaterale che porta a considerare la forma dei diritti sociali come variabile indipendente)
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La sinistra neo-comunitarista
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Questo paradigma parte da una critica unilaterale dello sviluppo capitalistico, e dimentica come la forma della merce abbia storicamente garantito quel germe di universalitá dei cui benefici tutta l’umanitá oggi puó godere e che sarebbe stato impossibile da coltivare nelle culture pre-capitalistiche.
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Secondo questo modo di vedere, lo sviluppo sarebbe un feticcio del quale la societá dovrebbe liberarsi per tornare a vivere in una condizione di armonia con la natura. Questo paradigma può rimbalzare da posizioni affini al neo-liberalismo, come ad esempio nella sua componente anarchica, a quelle legate al neo-statalismo, come ad esempio nei movimenti per l’ambiente o la difesa dei beni comuni.
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La fase di stallo
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Durante i dibattiti e gli interventi dell’iniziativa, hanno decisamente trovato conferma le perplessitá che avevo nutrito durante la sua fase di preparazione.
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In questo percorso costituente di Sinistra Italiana esiste, al momento, una cultura politica maggioritaria dove trovano convergenza i militanti di SEL, di Tilt, Act, e alcuni movimenti come, ad esempio, quello per il reddito di cittadinanza. A mio parere, il neo-liberalismo ed il neo-comunitarismo costituiscono l’architrave ideologica di quel tipo di cultura politica.
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Un fetta decisamente minoritaria, rappresentata da un gruppo di ex-PD, da un gruppo consistente di intellettuali, da singole personalitá, da qualche associazione culturale, ad esempio il Network per il Socialismo, e qualche movimento, come quello contro l’EURO, esprime invece una visione fondamentalmente affine al neo-statalismo.
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Poiché tutti e tre i paradigmi della sinistra sono, a mio avviso, inadeguati ad affrontare la crisi ed eludono il nocciolo del problema, questa contrapposizione rischia di tenerci ingabbiati ancora per lungo tempo nella fase di stallo nella quale siamo precipitati .
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Infatti, tutti i soggetti menzionati sopra rifiutano l’idea che la crisi sia il risultato di una contraddizione e tendono ad addebitare i loro guai a cause esteriori, come ad esempio pratiche improprie o eventi non necessari (sprechi, corruzione, il debito crescente dello Stato, il crollo del mercato finanziario, la globalizzazione, l’adozione dell’euro, etc.).
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Ma quando lo sviluppo della societá si trova di fronte ad una contraddizione, vuol dire che gli individui non sanno muoversi coerentemente con i presupposti storici della loro esistenza. Essi devono cioé imparare ad elaborare una nuova cultura perchè i problemi che si trovano di fronte richiedono, per poter essere risolti, una base sociale diversa da quella nella quale essi hanno preso corpo.
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Quale orientamento per il futuro?
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Se i tre paradigmi sono oggi inadeguati, la sinistra non puó che ricostruire il suo punto di partenza riconoscendo invece la natura contraddittoria della crisi. Ad esempio, quando nell’era dell’abbondanza in cui viviamo la miseria continua a crescere, vuol dire che esiste un
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“[..] fallimento nelle costruzioni immateriali della mente, nell’operare dei motivi che dovrebbero condurre alle decisioni e all’azione che sono necessarie per far tornare in circolo le risorse e i mezzi materiali di cui già disponiamo”. (J.M Keynes)
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Il mondo non è trasparente come in molti a sinistra vogliono dipingerlo. Ogni percorso politico è il risultato di un duro lavoro nel quale è richiesto uno sforzo di di interpretazione con il quale la sinistra, invece di limitarsi a chiedere al mondo di essere a sua misura, deve conquistare la capacitá di essere all’altezza della misura del mondo.
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Perchè, come diceva Primo Levi, le verità scomode hanno sempre un difficile cammino.
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Di Massimo Civino
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