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The Danish Girl, lungometraggio diretto dal regista Tom Hooper, adattamento dell’omonimo romanzo di David Ebershoff, narra la particolare e toccante vita di Lili Elbe, artista danese vissuta a cavallo tra il XIX e il XX secolo, nota anche per essere stata una delle prime persone a essere identificate come transessuali, nonché la prima (per quello che è documentato) a essersi sottoposta a un intervento chirurgico di riassegnazione sessuale. La Elbe era nata infatti come individuo di sesso maschile, all’anagrafe Einar Mogens Andreas Wegener.
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L’esistenza di Lili Elbe, così come quella di sua moglie Gerda Wegener, anche lei apprezzata artista, è stata sicuramente qualcosa di unico e probabilmente senza precedenti, contrassegnata da esperienze tanto coraggiose quanto drammatiche, sino al tragico epilogo. Il biopic portato sul grande schermo da Hooper, regista premio Oscar per Il discorso del re, è un film sostanzialmente veritiero, ma fisiologicamente riadattato, soprattutto perché tratto da un romanzo che già di per sé aveva introdotto un po’ di fiction nelle vicende dei protagonisti di questa storia.
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Il lungometraggio ci presenta Einar e Gerda come due giovani artisti della Copenaghen del primo Novecento, impegnati a tempo pieno nel cercare di affermarsi stabilmente sulla scena locale. In particolare, Gerda, una ritrattista, sta cercando di trovare nuove idee per il suo stile di disegno, al fine di riuscire a incontrare i gusti del suo pubblico. Nel tentativo di cercare ispirazione, sceglie di utilizzare proprio suo marito come modello, convincendolo a indossare indumenti femminili. Questo evento funge da catalizzatore che va a risvegliare la vera natura sessuale, apparentemente sepolta nel corso dell’infanzia, di Einar, il quale comincia a trovare sempre maggiore confidenza e piacere spacciandosi per la cugina di Gerda. Progressivamente, seguiremo le vicissitudini della coppia, rimasta unita nonostante le immaginabili difficoltà, in fuga dalla società del loro Paese che non accettava la vera natura del protagonista, sino alla scelta da parte di questi di sottoporsi a diversi quanto sperimentali interventi chirurgici volti a darle finalmente il corpo nel quale avrebbe dovuto davvero nascere. Con conseguenze prevedibili, dato lo status della medicina chirurgica del primo ‘900.
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La vicenda umana che ha contraddistinto la vita di questa coppia è qualcosa di davvero toccante e commovente, e The Danish Girl riesce a evidenziare, a tratti, quanto il sentimento che univa queste due persone fosse vero, forte e indissolubile, tanto da permettere a Gerda di restare accanto a suo marito, intenzionato a divenire una donna, senza cedere mai alla sofferenza che per natura tale scelta comportava. Il merito maggiore di questo film sta nel riuscire a essere rispettoso e delicato, senza cadere nel banale e risultare gratuito o di cattivo gusto, andando a carpire e poi a trasmettere allo spettatore il tema a nostro giudizio più importante, quasi imperante, in un momento storico come quello attuale, nel quale il dibattito sulle unioni civili tra coppie omosessuali è particolarmente caldo: l’amore può esistere, e continuare a esistere, a prescindere dall’identità sessuale degli esseri umani coinvolti.
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Paradossalmente, però, il punto di forza maggiore di The Danish Girl si rivela essere una lama a doppio taglio, divenendone anche il principale tallone d’Achille: troppo spazio all’aspetto romanzesco della vicenda, e troppo poco realismo nel raccontare il dramma di una donna nata uomo, e dell’altra donna che la ama. Nel corso della visione, specie a causa di un finale piuttosto scialbo (e poco conforme alla vera storia), la sensazione che si avverte è quella di una trama che prova a scalfire in maniera forzosa, e conseguentemente artificiale, la sfera emotiva dello spettatore, utilizzando gli strumenti sbagliati. Non è pervenuta, inoltre, una rappresentazione del particolare contesto storico-sociale entro cui i protagonisti si muovono, aspetto molto importante per riuscire davvero a fare un ritratto coerente e completo di questa vicenda.
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Inaspettatamente, la regia di Hooper (assieme alla sceneggiatura di Lucinda Coxon) manca dell’elemento chiave dei suoi lavori precedenti, in particolare il già citato Il discorso del re: dialoghi profondi e graffianti, che possano dare la percezione del profilo psicologico e dello spessore dei protagonisti. Data la scelta di raccontare la vita di un personaggio così unico nella storia, era lecito aspettarsi qualcosa di più, al fine di comprenderne a pieno i pensieri e le emozioni, compito che invece si poggia unicamente sulle notevoli capacità recitative dell’attore inglese Eddie Redmayne, premio Oscar come “Miglior Attore Protagonista” nel 2015, grazie alla sua prova nei panni di Stephen Hawking in La teoria del tutto, diretto da James Marsh.
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Anche in questo caso, e non è una sorpresa, Redmayne è protagonista di un’interpretazione distinta, in un ruolo molto difficile, che riesce a fare suo con talento e consapevolezza, impersonando Lili Elbe con grande umanità e pàthos. A voler cercare il classico pelo nell’uovo, abbiamo però riscontrato in questa prova alcuni pattern recitativi (in termini di espressioni, movimenti, e tonalità di voce, avendo visto il film anche in originale) molto, molto simili a quelli già adottati ne La teoria del tutto. Sorprendente, invece, è l’interpretazione dell’attrice svedese Alicia Vikander (già apprezzata nel recente e piccolo capolavoro Ex Machina di Alex Gardland) nei panni di Gerda, forse alla fine dei conti il personaggio chiave di The Danish Girl.
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In conclusione, The Danish Girl è un film che saprà coinvolgere sufficientemente lo spettatore nel corso della visione, specie in alcuni intensi passaggi, ma che, alla fine, lascerà un senso di tiepidezza nel cuore e nella mente degli stessi.
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