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Il caso Spotlight, lungometraggio diretto da Tom McCarthy, è giunto nelle sale italiane, presentandosi subito come uno dei film più “impegnati” del 2016, e probabile frontrunner per la vittoria del premio Oscar, categoria “Miglior Film”, alla cerimonia prevista per il prossimo 28 febbraio.
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Occorre specificare subito che questo film è ispirato (molto fedelmente) a una storia vera, uno degli scoop giornalistici più rilevanti e scottanti del XXI secolo, avvenuto nel 2001 nella città di Boston e le cui ripercussioni si sono avvertite in tutto il mondo per anni, e il cui riverbero è vivo anche oggi.
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Protagonisti della vicenda sono i reporter della “squadra Spotlight”, una sezione speciale e investigativa della storica testata giornalistica americana Boston Globe nata per occuparsi di inchieste di alto profilo (che spesso richiedono mesi, se non anni, per essere chiuse), i quali, assieme ai loro editor, sollevarono un grandissimo vespaio, inizialmente quasi ignorando la portata di questo loro lavoro, e l’importanza che questo avrebbe avuto nella storia.
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Walter Robinson, Mike Rezendes, Sacha Pfeiffer e Matt Carroll si resero infatti fautori di una clamorosa indagine che portò alla luce, in maniera comprovata, una moltitudine di casi di pedofilia perpetuata da oltre settanta componenti della Arcidiocesi della sola città di Boston ai danni di un gran numero di minori, spesso nati e cresciuti nelle zone più disagiate del capoluogo della contea di Suffolk e capitale dello Stato del Massachusetts, località dove tutt’oggi esiste una forte diseguaglianza sociale, con interi quartieri (situati anche in centro, oltre che in periferia) quasi abbandonati a se stessi, su tutti quello di Charlestown, nel quale la professione più praticata, che passa in eredità di padre in figlio, è quella di darsi al crimine (per saperne di più, vi invitiamo a recuperare il pregevole film intitolato The Town e diretto da Ben Affleck, senza dimenticare il capolavoro The Departed – Il bene e il male di Martin Scorsese).
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La ricostruzione della vicenda de Il caso Spotlight è effettuata con grande consapevolezza e realismo, evidenziandone tutti i passaggi in maniera fluida, ma precisa. Da un momento iniziale nel quale lo scandalo, pur essendo noto a tanti, compresi i vertici politici della città e dello Stato, non poteva essere dimostrata, a causa della spregevole omertà di coloro che detenevano il “potere”, alla svolta improvvisa che permise di sbloccare lo stallo e portare all’occhio dell’attenzione pubblica una storia di abusi gravissima, creando, inoltre, una sorta di “effetto Domino” che rese possibile la scoperta di casi simili in tutto il mondo (eccezion fatta, curiosamente, per l’Italia).
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La grandezza e la riuscita di questo film risiedono nel mondo con il quale è stata scritta e poi diretta un’importante pagina di storia del giornalismo, cercando di trasporre sul grande schermo la veridicità e la consequenzialità di questo caso, e, di fatto, di questa professione, senza “romanzarla”, senza la ricerca di colpi a effetto, e senza cadere nella facile retorica invettiva nei confronti di una grande organizzazione come la Chiesa Cattolica. Alla fine, al di là del peso emotivo che può avere una storia nella quale si parla di bambini abusati sessualmente da sacerdoti, Il caso Spotlight è una matura celebrazione dell’importanza sociale che la professione del giornalista ha ontologicamente insita dentro di sé, cioè quella di riuscire a far luce dove l’oscurità è dominante, e dove l’ingiustizia si diffonde come un terribile cancro, consentendo così all’opinione pubblica di apprendere tali verità nascoste, per poi reagire di conseguenza.
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Grande merito, in questo senso, va al regista Tom McCarthy, co-sceneggiatore del film assieme a Josh Singer, che è stato in grado di farsi coraggiosamente carico della realizzazione un film dalle tematiche forti, raccontando una vicenda che molti, ancora oggi, vorrebbero vedere insabbiata e dimenticata. Non è un caso, infatti, che il progetto dietro Il caso Spotlight fosse pronto sin dal 2013, e sia stato fermo (o “fermato”?) per ben due anni prima di ricevere il tanto atteso “semaforo verde”.
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Una curiosità sta nel fatto che McCarthy venga dal mondo della comedy americana, e sia finalmente giunto in “Serie A” con un film che di commedia non ha davvero nulla, dopo anni di gavetta (anche come attore). Curiosamente, in questo primo scorcio di anno abbiamo assistito a un altro fenomeno speculare, quello che ha visto il regista (di comedy) Adam McKay incaricarsi di raccontare (in modo brillante) un’altra pagina buia della storia moderna americana, quella della bolla speculativa e conseguente crisi finanziaria mondiale che ha preso il via negli USA tra il 2007 e il 2008, come mostrato ne La grande scommessa, principale rivale de Il caso Spotlight nella corsa all’Oscar.
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È quantomeno curioso, dunque, che due registi proveniente dal Bright Side del cinema americano si siano prodigati nel narrare sul grande schermo due vicende a dir poco spinose, che hanno rovinato (e talvolta terminato) la vita di migliaia di migliaia di esseri umani. L’importanza sociale del loro lavoro è encomiabile, e ivi risiede la potenza di un mezzo di comunicazione globale quale è il cinema: per tutto questo possiamo solo ringraziarli.
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Tornando ha Il caso Spotlight, non possiamo non segnalare la grandissima prova offerta da un cast corale di ingente spessore, composto da Mark Ruffalo, Michael Keaton, Rachel McAdams, Liev Schreiber, John Slattery, Brian d’Arcy James e Stanley Tucci, ognuno con un suo preciso e ben interpretato ruolo, ulteriore conferma di quanto questo film sia equilibrato, sia in fase di sceneggiatura che di regia.
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In conclusione, rimarchiamo quanto la forza de Il caso Spotlight stia nel saper narrare una storia complessa nel modo più corretto, cercando di mantenere un punto di fuoco oggettivo sui fatti, senza mai cadere nella facile banalità, ricostruendo l’indagine giornalistica in maniera scientifica e realistica, dando il giusto risalto al coraggio e alla professionalità dimostrata dai reporter del Boston Globe. Il tutto senza mai annoiare lo spettatore, ma rendendolo partecipe di un’indagine che rimarrà nei libri di Storia, e che non dovrà mai essere dimenticata. Si spera.
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