Raccontare l’antimafia attraverso la letteratura. Da gennaio è in libreria un nuovo numero di Narcomafie, speciale perché – dopo 24 anni di inchieste – si è deciso di aggiungere quindici nuovi tasselli alla narrativa dell’antimafia e di costruire, tramite la forma del racconto e della graphic novel, un nuovo capitolo di un immaginario collettivo che, sin troppo spesso nella storia, ha strizzato l’occhio a padrini, gangster e bravi ragazzi.
Tra le firme che hanno dato il loro contributo – oltre a Patrizia Rinaldi, Piergiorgio Pulixi e Pasquale Ruju – anche l’illustratore, fumettista e graphic journalist Gianluca Costantini, che ha raccontato con 8km la tragica morte del giovane migrante afghano Zaher Rezai, avvenuta il 10 dicembre 2008 sotto le ruote di un tir alla periferia di Mestre.
Costantini, già autore di alcuni contributi per Internazionale, Le Monde Diplomatique e World War Illustrated, ha pubblicato i suoi fumetti anche in Turchia, dove è entrato in conflitto con il regime di Erdogan.
Di cosa parla “8 km”? Perché ha scelto di raccontare la storia di Zaher in una rivista che parla di mafia?
La storia di Zaher è stata pubblicata per la prima volta nel 2009 sulla rivista milanese “Terre di Mezzo”, la storia è stata ripubblicata grazia all’interessamento di Piero Ferrante che cura la rivista Narcomafie, credo che la sua idea fosse che anche questo tipo di argomento e di vita faccia comunque parte di una “mafia” e che lo sfruttamento dell’immigrazione faccia sempre parte di questo problema. La storia di Zaher è tragicamente sempre attuale. E quella rotta ancora valida. La sua attualità sta nella constatazione che potrebbe essere successo ieri, che succede ogni giorno. La voce di Zaher risuona ancora perché abbiamo le sue poesie, contenute in un taccuino ritrovato dalla mediatrice del Comune di Venezia Francesca Grisot. Forse più di tanti articoli che cercano di interpretare, vedere il pensiero di questo ragazzino accanto alla sua breve biografia di cercatore di un porto sicuro, fa l’effetto di ricordarci che in ogni numero di morto per immigrazione c’è una storia e un pensiero.
Come opera un graphic journalist in un mondo sovraesposto alla cronaca e all’immagine?
Il disegno è molto diverso dall’immagine di massa che si rifà maggiormente alla fotografia e al video, anche i social network come base hanno le foto e i video. Il disegno è diverso, ferma di più lo sguardo. Quello che crea un disegnatore è sempre la visione di quel disegnatore il suo modo di vedere il mondo, quindi difficilmente finisce assorbito dalle altre immagini.
Che vuol dire essere un artista militante? Come commenta il fatto che il suo blog sia stato oscurato dal regime di Erdogan?
Essere un artista militante vuol dire essere un artista indipendente che lavora senza una vero committente, vuol dire combattere e difendere con l’arte i “diritti” in cui crede. Il mio blog è stato oscurato all’interno dei confini turchi: questo vuol dire che i disegni hanno fatto il loro dovere, hanno dato fastidio. La cosa non mi rende felice però, non vorrei mai arrivare allo scontro, ma vorrei sempre il dialogo. Purtroppo in questo caso è andata così, forse perché amo moltissimo la Turchia e quindi mi sono dedicato appassionatamente alla difesa dei diritti umani del popolo turco.
Il numero speciale di Narcomafie – che contiene il racconto di Gianluca Costantini – sarà presentato a Bari alla libreria Laterza il 13 febbraio alle 18.